domenica 21 agosto 2016

Gli Spiritelli

Enzo Falzone la guida onoraria, così ama definirsi, dell'Agenzia Riggi-Tour aveva promesso a noi tutti partecipanti una magnifica sorpresa non compresa nel programma.
Così, giorno 15 Agosto 2016, con gli occhi ancora colmi delle visioni del bellissimo golfo di Napoli, dello splendido mare con i suoi faraglioni, di Capri e Anacapri, in serata ci ha condotti a Casertavecchia.
Dopo un tragitto in salita a piedi non proprio comodo anzi gravoso per la stanchezza accumulata nelle escursioni della giornata, siamo giunti al Borgo.
Questo è apparso subito pittoresco e tipico  con le sue botteghe artigiane e le viuzze strette e tortuose seguendo una delle quali ci siamo trovati per incanto nella Piazza del Duomo.
Qui, in un ampio spazio che compone la piazza,  fa bella mostra di sè il Duomo nel quale si fondano lo stile Siculo-Arabo, quello Romanico e quello Benedettino, consaccrato al culto di San Michele Arcangelo. A fianco sorge l'imponente campanile terminato di costruire nel 1234.
Sulla piazza si affacciano anche il Palazzo Vescovile, il Seminario e la casa Canonica.
Appena superata la piazza, imboccata la via San Michele Arcangelo,è apparsa la casa delle bifore di cui Enzo non aveva volutamente anticipato nulla.
Al suo cospetto chiunque avverte un'atmosera magica. Si sente subito nell'intimo la straordinaria eccezionalità del luogo immerso nella luce soffusa dei lampioni.
La casa si riconosce immediatamente tra le altre contraddistinta com'è da una finestra con una bifora gotica da cui fanno capolino gli spiritelli della Signora Ursula.
In proposito si dice che gli spiritelli, dei pupazzi di coccio creati dalla Signora Ursula Edith Pannwite, se rotti non volutamente liberino i desideri segreti di chi li possiede realizzandoli.
La gente del luogo considerava la Signora Ursula la reincarnazione di Siffridina tornata nel Borgo per farlo rifiorire.
Siffridina era la contessa di Cosenza della casata dei Sanseverino di Lauro una delle più potenti dinastie feudali di epoca medioevale. Moglie di Tommaso il vecchio, madre di Riccardo, lo sposo di Violante figlia dell'Imperatore Federico secondo.
Peccato che quella sera nessuno di noi possedeva uno spiritello che, rompendosi accidentalmente, avrebbe potuto realizzare chissà quali desideri nascosti.
                                                                         Nino Lacagnina

venerdì 20 marzo 2015

Domenica 19 Aprile 2015 alle ore 18,00 presso il Cral Diarla Dipendenti Regione Siciliana, sito in Caltanissetta via Leone
tredicesimo n. 42, sarà presentato il libro "L'Ultima Stagione" di Nino Lacagnina con prefazione di Gabriella Marchese; condurrà l'incontro la Dott/sa Rossana Manganaro, presenterà il libro la Dott/sa Gabriella Marchese, leggerà alcuni brani la Dott/sa Alessandra Iacono.



Prefazione
Provare a catturare e definire in una breve sintesi il contenuto, lo spirito letterario  e l’essenza di questa nuova opera di Nino Lacagnina è come  voler raccogliere il mare in una conchiglia: non si può. Perché in essa si intrecciano, si sviluppano, si rincorrono in libera sequenza i pensieri, le considerazioni, le riflessioni di un uomo che, giunto alla soglia di quello che lui definisce “l’ultima stagione” si ferma ad osservare il mistero dell’umano esistere e vaga tra formulazione di ipotesi mitiche e filosofiche sulla vita, l’immortalità e i destini dell’uomo superando il timore della morte perché essa è parte di quella meraviglia che per l’uomo è l’esistere. Così fa intuire al lettore che l’evento finale del vivere si inserisce nell’armonia cosmica della natura.” Chi piange per le messi nel solstizio d’estate?”  Così, liricamente, Nino esprime questo concetto.
 Sul tema di quella che Nino Lacagnina definisce  “l’ultima stagione” , nel passato si sono espressi in molti. Ė d’obbligo citare il “De senectude” di Cicerone in cui l’autore esalta tutti i vantaggi dell’ultima fase della vita ( compreso quello di poter lasciare presto l’involucro pesante del proprio corpo per unirsi liberamente al convegno delle anime ). Anche il famoso “ Elogio della vecchiaia “ di Paolo Mantegazza, sulla scia ciceroniana, preferisce vedere le opportunità che la vecchiaia offre, ma non vede prospettive di speranza nella immortalità e si limita, il Mentegazza, a sdrammatizzare sull’ultimo non rifiutabile evento, suggerendo che tutto sommato non vale la pena di soffermarsi sul pensiero della morte. Appassionata e malinconica la “Lectio magistralis: De senectute” di Norbeto Bobbio, mentre amaro e realisticamente desolante il libretto “Vecchi” di Sandra Petrignani.                                                                   Nel nostro autore le varie posizioni si armonizzano senza contraddirsi.  Egli sostiene che è possibile ( oltre che doveroso ) vivere al meglio e nel modo più concreto e realistico anche l’ultima fase dell’esistenza senza perdere la possibilità di assaporare le gioie pur tenendo presenti i limiti dovuti allo scorrere degli anni, senza inutili lamentazioni e dolorosi rimpianti.
Immerso nel mondo dell’arte e della poesia, l’autore esplora il ricco patrimonio che ogni persona può esprimere con più maturità nell’età più tarda.
Rimane il mondo reale degli affetti e delle emozioni con la serena costatazione di potere gustare le gioie, senza escluderne nessuna. Il vigore giovanile cede il posto alla tenerezza nell’assaporare con passione più intensa e matura ogni cosa.
 Rimane anche una duplice fonte di vitalità: il sogno e il ricordo.
IL SOGNO in cui l’autore si pone come protagonista e si racconta come l’eroe di favole orientali dalle complesse trame dense di mistero, in avventure guerresche e passioni amorose.
Miti, leggende, saggezza di un mondo lontano scorrono sotto gli occhi del lettore rivelando il fascino di civiltà altre.  
IL RICORDO con i suoi diversi sentieri che portano:
- al vissuto giovanile fatto di primi amori infantili con le ardenti intemperanze della giovinezza;
- ai luoghi, prossimi e lontani che lo hanno visto crescere ( la sua Africa, via Chiarosi) dove affiorano come da una quinta di teatro i personaggi di un tempo passato, resi vivi da una nostalgia leggera  e anche sorridente;                                                                                
 - alle esperienze da soldato, con le sue esilaranti goliardiche storie;
- al lavoro in miniera, e poi altrove con tanti interessanti e a volte divertenti aneddoti delle sue esperienze;
- ad altri luoghi, quelli dei suoi numerosi viaggi, nello stupore della scoperta di paesaggi sorprendenti per maestosità e bellezza, di culture e costumi diversi, e di innumerevoli espressioni d’arte in ogni sua forma;
 - alla memoria delle persone conosciute, amate e presenti ancora nella sua vita, ma a volte, ahimè, anche perdute: familiari, amici che hanno lasciato una traccia di sé. Una memoria che non è solo struggimento e nostalgia, ma che lascia intravedere una indefinita speranza nella quale tutto si ricompone, secondo un’intuizione che non è un assioma di fede, ma che conduce alla certezza che l’uomo è immortale, anche se non lo sa, e che tutto torna a rivivere in una dimensione in cui c’è posto per l’amicizia, per gli affetti, per la bellezza e per tutti i sentimenti umani.
C’è, nel testo, una lunga parte dedicata alla considerazione di chi, sulla soglia dell’ultima stagione, ne costata realisticamente i limiti, ma considera soprattutto che amministrando con arte le risorse di cui dispone, può gustare le gioie dell’esistenza con più consapevolezza. L’impeto cede il posto alla dolcezza in una dinamica di delicata armonia in cui tutto assume il sapore come di un frutto giunto alla sua piena maturazione da assaporare con serenità.                                                                                      
 L’autore usa una prosa concreta. Ama descrivere i fatti come una lunga conversazione tra amici. A volte ha i toni di una cronaca scarna, altre si accende e si inerpica nel  sentimento e nella passionalità. I versi parlano di luoghi, sensazioni, persone. Sono lì per fermare l’attimo, il sentimento, l’emozione. Spesso hanno la caratteristica di una prosa sognante che si fa poesia nella mente dell’autore. Delicatissime le pagine dedicate agli animali ( gattini e cagnolini ).
In tutto il libro si nota una purezza del pensare privo di pregiudizi e di falsi pudori.
                                            Gabriella Marchese

martedì 26 marzo 2013



Giorno 23 Marzo 2013 nell'aula magna del I.I.S.S. Sebastiano Mottura di Caltanissetta è stato presentato il nuovo romanzo
di Nino Lacagnina dal titolo "Realtà onirica a Qalat An-Nisa e sogni di vita reale nelle zolfare"
 con la seguente Prefazione del Prof. Salvatore Farina
                                                                                       

Caro lettore,

il libro che ti accingi a leggere è particolare, molto particolare. Non è un romanzo, anche se è ricco di trame e di personaggi. Non è una raccolta di racconti, anche se contiene capitoli che narrano delle storie complete. Non è un libro di poesie, anche se le pagine più emozionanti sono scritte in versi. Non è, infine,  un libro di illustrazioni anche se quando le parole non riusciranno ad esprimere il significato profondo che l’autore voleva comunicarti, ecco comparirti come d’incanto delle immagini. Questa originalissima sintesi creativa che tieni tra le mani è il frutto maturo del maestro Nino Lacagnina. Nella presente opera, l’eclettico artista nisseno ha deciso di sfidare se stesso e tutta la sua straordinaria capacità comunicativa affrontando uno dei temi più misteriosi e più affascinanti della vita: il sogno. Oltrepassando il confine della realtà fenomenica e varcando la soglia della dimensione onirica, Nino Lacagnina ha spalancato gli occhi e il cuore al di là dello spazio e del tempo e ha ascoltato - a tutto volume! -  l’eco delle muse proveniente direttamente dal Parnaso. Il primo sogno “Vita onirica a Qalat An –Nisa” si svolge nel Medioevo siciliano durante lo scontro tra gli Arabi e i Normanni. Protagonisti a sorpresa sono  Fragalà e Lord Alfred: la bellissima primogenita del Kadì Omar Ghadi e un eroico capitano delle truppe normanne. E’ favolosa – nel senso più letterale del termine – l’idea che ha avuto Lacagnina di raccontare questo famoso evento storico attraverso la struggente ed avventurosa storia d’amore di due personaggi appartenenti a fronti opposti. E’molto bello il passo in cui è descritta la conversione del mercenario normanno alla causa giusta contro il tiranno Mustafà Al-Muk: “… A quelle parole restai perplesso, turbato, pensai ai miei ultimi anni impegnato in lotte ora al servizio di uno e l’indomani al servizio di un altro magari contro il primo. Una vita spesa senza ideali e onore! E poi, la causa di Fragalà è degna di rispetto; ella combatte per la sua libertà, per riscattare l’onore della sua famiglia e liberare una città dalla tirannide”. Il sogno a Qalat An-Nisa raggiunge il massimo del coinvolgimento quando Lacagnina si lascia andare nella narrazione quasi filmica delle scene di combattimento ambientate a ridosso del castello: sono fotogrammi, visioni oniriche che infiammano l’immaginazione del lettore. E poi, essendo nato a Tripoli e avendo coltivato per tutta la vita un amore viscerale per il mondo e la cultura araba, l’autore attinge direttamente al proprio bagaglio di conoscenze per descrivere magistralmente i momenti di intimità e di eros tra i due protagonisti. Le pagine della danza del ventre eseguita da Fragalà davanti all’estasiato Lord Alfred e il conseguente rapporto sessuale che ne scaturisce sono di straordinaria bellezza. Sembra di vedere veramente Fragalà con il suo reggiseno di raso rosso tempestato di perle che le esaltano il seducente seno e la sopracintura di raso giallo  che irradia e abbraccia le anche ed esibisce con complicità la nudità dei fianchi e del ventre, mentre il  lungo velo rosso  gioca in maniera provocante a nascondino con le statuarie e nervose gambe … il tintinnio dei ninnoli d’oro alle caviglie  enfatizza ogni minimo movimento in sincronia con i lunghi ed ondulati capelli che avvolgono le spalle marmoree. E poi a suon di liuto e di tamburo: la danza! E dopo la danza: l’eros! Eh sì, è proprio una visione: un sogno! Un sogno che ogni uomo vorrebbe fare.

“La regina ribelle” è un racconto delizioso, una perla di letteratura. Con questo sogno, il maestro Lacagnina ti prende per mano e ti porta all’ultimissimo piano del grattacielo più alto che si trova nel cuore della fantasia. Dopo avere attraversato il labirinto dei suoi ventricoli e aver provato l’inebriante vertigine delle possibilità, sentirai una dolcissima musica senza note provenire direttamente dal pentagramma della vita: è il palpito dell’immaginazione che scandisce il suono del silenzio. Qui tutto può avvenire, anche di diventare una formica regina! In questo bellissimo racconto Nino Lacagnina svela un po’ il segreto della sua arte di scrittore. Così come nella scultura egli plasma e modella la materia, con la scrittura plasma e modella una conoscenza scientifica o storica che sia. Sempre sorretto, in entrambe le arti, dall’idea che ha concepito con la testa e con il cuore. La fantastica storia della formica regina ribelle è il risultato creativo di un artista sensibile che conosce benissimo sia le leggi dell’uomo che quelle della natura. Le specifiche nozioni utilizzate riguardanti l’entomologia sono servite come inedito palcoscenico dove rappresentare un’originalissima e commovente storia d’amore. La trama di questo sogno-racconto è così bella che si presterebbe benissimo come soggetto cinematografico, un po’ come il romanzo “La gabbianella e il gatto” di Luis Sepùlveda che è stato portato sul grande schermo da Enzo D’Alò.

Con “Aldilà la luce” inizia la parte del libro che raccoglie i “Sogni di vita reale nelle zolfare”. Da questa pagina in poi, caro lettore, Nino Lacagnina ti offre uno scrigno traboccante di ricordi ad occhi aperti. E’ il colpo di scena dell’artista: dopo i due racconti fantastici il testo vira verso una commovente narrazione autobiografica. Qui i personaggi sono reali, anche se molti non sono più residenti in questa nostra dimensione che chiamiamo esistenza. La realtà onirica collegata ai ricordi, agli affetti e ai numerosi ed embricati sentimenti d’amore, di amicizia, di giustizia ha messo nell’anima dell’autore degli occhiali in grado di guardare attorno e dentro di sé attraverso la luce proveniente dall’aldilà. Se tu, caro lettore, riuscirai ad aprire  il tuo cuore e a fare entrare un po’ di quella luce sulle pagine che hai davanti ai tuoi occhi, assisterai alla magia dell’arte della comunicazione: sulla tua pelle sentirai allora tutta la gamma delle emozioni che un uomo possa provare. Rabbia e  tristezza per le incredibili condizioni in cui erano costretti a lavorare come schiavi i “carusi” e i minatori nelle viscere della terra. Rancore e amarezza per le tragedie consumate dove hanno perso la vita una miriade di zolfatai e continuano a perderla ancora oggi un sacco di persone a causa dei tumori causati dalle scorie radioattive seppellite nelle miniere dal business gestito dalla mafia e dai servizi segreti. Dolore profondo per la dolce Paoletta, la nipote diletta del maestro Lacagnina morta di cancro lo scorso anno dopo atroci sofferenze. Nostalgia dei vecchi tempi rievocati grazie alla recente conoscenza di un ex studente del glorioso Istituto “Sebastiano Mottura”. Tenerezza e gaiezza per i premi speciali che i vincitori della lotteria della scuola consumavano presso la benemerita Lidia tenutaria della casa chiusa di via Tommaso Tamburini. Gioia e soddisfazione per aver superato brillantemente, grazie al sapiente utilizzo della bussola, le difficili prove del primo incarico di lavoro nella miniera Baccarato di Piazza Armerina. L’orgoglio tirato fuori dai lavoratori della miniera accusati da una commissione di tecnici inglesi di lavorare poco e lentamente. La forza di volontà espressa dall’autore quando giurò a se stesso che non  avrebbe mai costretto la moglie a vivere nel difficile luogo di lavoro della miniera e la conseguente gioia per aver vinto il concorso all’Ispettorato del Lavoro. L’amore candido e puro per zio Peppe e zia Annita protagonisti di tanti momenti indimenticabili che hanno reso dolce con piccole attenzioni anche i periodi più amari della vita. Bellissima la descrizione dello zio Peppe – cuoco sopraffino -  a Milano impegnato a procurarsi la verdura per preparare piatti che gli rievocassero i sapori della sua Caltanissetta: “Sin dal primo mattino (lo zio Peppe), scandagliava i mercati rionali. Aveva scoperto una certa bieta di quelle parti che lessata e poi saltata in padella dava l’idea dei nostri ‘spinaccioli’ e così, quando riusciva a procurarseli, mi telefonava annunciandomi che l’indomani sera sarei stato loro ospite. Quando giungevo a casa loro … si chiacchierava del più e del meno sino a quando zio Peppe compariva trionfante con una sperlonga di spaghetti fumanti conditi con gli spinaccioli milanesi. Non ricordo con esattezza il loro gusto, ma assicuro tutti che l’effetto che mi procuravano era quello di sentirmi a casa mia, nella mia Sicilia. … Lui vedendomi così soddisfatto, mi diceva: ‘sti pulintuna, non capisciunu nenti (questi mangia polenta, non capiscono niente); ogni volta che cerco e acquisto la verdura, mi chiedono se in casa ho qualche animale. Io dico che ho una capretta e così mi lasciano in pace”. Anche l’emozione che proviene dall’esperienza del grande mistero della vita e della morte è legato a zio Peppe. Un profondo e coinvolgente dialogo fatto in sogno con il suo adorato parente rimasto sospeso tra la vita astrale e la grande luce offre all’autore la possibilità di scrivere sull’arcana geografia dell’esistenza. Dove non c’è posto per la morte, ma solo per altre forme di vita. E a colei che ogni umano teme, riuscirà a convincerla a fargli visitare la “Città delle Meraviglie”. La città dove potrà incontrare tutti i suoi cari che lo hanno preceduto nel viaggio e che lo accoglieranno organizzando una festosa rimpatriata. Nell’attesa, il sentimento della morte è affrontato con onestà intellettuale e con la forza struggente ed evocativa della poesia in compagnia degli amici Angelo e Vincenzino, del fratello Lello e dello zio Peppe. Come vedi, caro lettore, il libro che stai per leggere è particolare, particolarmente bello perché è il  “libro aperto” di un uomo che  ha sempre vissuto sognando l’arte, l’amore e la verità.

Salvatore Farina



Caltanissetta, 15 Dicembre 2012

martedì 11 dicembre 2012

Il mio amico Paolo Campagna mi ha inviato l'articolo di Elena Giannino che io ho il piacere di pubblicare. Nino Lacagnina
"Sono un siciliano doc entrato al Ministero del Lavoro tanti anni fa; pensi che correvano gli anni 50 quando io iniziai a lavorare nella mia città natale, Caltanissetta, dove ho vissuto fino al 1972, anno in cui decisi di trasferirmi a Bologna con tutta la mia famiglia ..."
Inizia così il racconto del collega Paolo Campagna che ho avuto il piacere di conoscere solo telefonicamente, ma che già attraverso la voce ha saputo trasmettermi delle belle emozioni rispetto alla sua esperienza nei nostri uffici.
Come mai la scelta di trasferirsi a Bologna?
"Mia figlia, ancora oggi, dice che ho sfidato il Governo; sono partito con tutta la mia famiglia prima di avere in mano un decreto di trasferimento. Mi sono presentato a Roma dal capo del personale - allora farsi ricevere da un direttore generale era come chiedere un appuntamento al Presidente della Repubblica o al Papa - dicendogli che non avevo mai chiesto nulla allo Stato. Come invalido di guerra in quel momento, in quel momento, avevo bisogno di vivere vicino ai miei figli che studiavano a Bologna"
Dal tono di voce mi accorgo che Paolo ricorda ancora emozionato quel momento che gli ha permesso di coronare il suo sogno di stare con la sua famiglia, vedere terminare i loro studi e diventare dei professionisti affermati.
Cosa le viene in mente di quegli anni, di quando ha iniziato a prestare servizio
 nell'Amministrazione?
"Lavorare all'Ispettorato del Lavoro di Bologna a quei tempi era il massimo a cui un Ispettore poteva aspirare, visto che la preparazione di tutti i colleghi era molto alta. A Bologna si studiavano le sentenze che poi diventavano un modello per tutti gli altri uffici periferici, con la redazione di un bollettino mensile. I colleghi all'inizio pensarono che io, arrivando dal Sud, fossi meno preparato di loro, ed invece credo di aver dato dimostrazione che non ero da meno e così pian piano, mi feci strada come Ispettore. Con alcuni colleghi mi sono trovato molto bene e di loro conservo ancora un buonissimo ricordo. All'epoca c'era come direttore il Dott. Fragolini, poi è arrivato l'ingegnere Tarallo e con entrambi posso dire di aver avuto un ottimo rapporto fatto di stima e di rispetto reciprocuo".
Rispetto ad oggi, secondo lei, cos'è cambiato negi uffici dell'Ispettorato del Lavoro?
" Sono in pensione da circa 20 anni e non so esattamente cosa sia cambiato ma posso dire che in passato la figura dell'Ispettore era molto rispettata sia internamente dai capi, sia dai consulenti del lavoro e dalle imprese. Quando arrivavamo in ispezione avevo l'impressione che si comprendeva bene la nostra attività e il nostri ruolo ma soprattutto se c'era qualche problema ci sentivamo sempre tutelati dall'Amministrazione e se non riuscivamo a risolverlo ci rivolgevamo al nostro capo servizio e insieme trovavamo la soluzione, sempre con l'accordo e il rispetto reciproco, questo tipo di sistema ci faceva sentire parte di una grande famiglia."
Tra i suoi ricordi le viene in mente qualche episodio significativo che le fa piacere raccontare?
"Mi viene in mente che, per quanto amassi il mio lavoro, a volte mi rendevo conto che era anche un po' pericoloso perchè si potevano incontrare dei personaggi imprevedibili durante le ispezioni. Un giorno mi recai in un'azienda agricola e quando finii  d'interrogare tutti i presenti mi si avvicinò una donna che mi disse che aveva un appezzamento di terreno che confinava con quello oggetto d'ispezione e voleva capire se poteva esserci uno "scambio di monodopera" ; l'agricoltore che mi vide parlare più a lungo con quella donna si adirò e cominciò a strapparmi i verbali dalle mani, colpendomi con violenza con un quaderno fino ad arrivare a chiudermi a chiave in una stanza.  Quella volta andai al pronto soccorso e l'agricoltore fu condannato a 6 mesi di reclusione con la condizionale".
Come vi adoperavate nella quotidianità per stare bene, per essere più sicuri?
" Prima di tutto di fare questo tipo di attività con tanta passione; è un lavoro che bisogna sentire, che richiede dedizione e amore ma anche una grande preparazione tecnica che porta a studiare sempre, ad approfondire. Noi eravamo molto preparati proprio perchè studiavamo a casa sacrificando a volte anche il tempo con la famiglia. Per fare bene questa attività ci vuole serenità e bisogna portare allegria. Quando sono arrivato dalla Sicilia i colleghi non si parlavano tra di loro ed io sono riuscito a creare un gruppo di amici attraverso gli ingredienti dell'umorismo e della serenità, organizzando anche periodicamente "pranzetti". I colleghi per questa ragione ni dicevano di avere portato un po' di sole di Sicilia nell'ufficio di Bologna."
A questo proposito, è rimasto in contatto col nostro mondo?
"Sono rimasto in contatto con alcuni colleghi  che ancora oggi mi vengono a trovare e mi telefonano. Credo che molti mi ricordino come un simpaticone, un burlone che faceva molti scherzetti. Pensi che a carnevale mettevo la puzzola sulle scale o sotto i cuscini della ragazze. Io ho un bellissimo ricordo di questo lavoro e di molti colleghi e spesso penso a loro con affetto e credo che alcuni facciano altrettanto".
Paulì, l'articolo tu pubblicau accussì comu mu facisti aviri però t'arricurdu ca si tu facisti na bona figura a Bologna u meritu  è anche dell'ispettorato del Lavoro di Caltanissetta ca nunn'era inferiori a nuddu in Italia e unni tu ti formasti di Ispitturi.  Daccordo?
                                                            Antonio Lacagnina ex Ispettore del Lavoro di Caltanissetta

giovedì 29 settembre 2011

L'Incontro

L’Incontro

Salpato dal porto di Allah

in una giornata di sole cocente,

tutto mi sarei aspettato

tranne l’incontro con Lei,

l’ineluttabile, la nera, la pietosa.

Ma Lei non era quella da me conosciuta

e che ho sempre temuto …

Lei era bella,

diafana ed evanescente,

cordiale e amichevole ed io,

perplesso,

godevo della sua vista.

Poi, alla rada,

nelle acque di Cala Rossa in Favignana,

definita con questo nome

per il copioso sangue versato

da combattenti Romani e Cartaginesi

nella violenta battaglia navale delle Egadi,

spronati dalla vista

delle azzurre acque cristalline,

io e la mia compagna

ci siamo tuffati

spensierati e felici.

Dopo poche bracciate però,

una corrente irresistibile

ci ha trascinato a largo.

Resici presto conto

che non avremmo mai

riguadagnato il nostro legno,

invocammo aiuto.

Soccorsi, fummo salvi

a bordo di un altro legno

anch’esso alla rada.

Ho riflettuto molto sull’accaduto

e la cosa che mi ha più colpito

è stata la circostanza che Lei, la pietosa,

non si era immersa in quelle acque.

Nino Lacagnina 21/08/2011